Museo a cielo aperto La Thuile il lato Wild del Monte Bianco

La Thuile
Il suo cuore di villaggio di montagna

Le case che ancora costituiscono il nucleo più antico dei villaggi di La Thuile sono un baluardo del passato che ci racconta come la prassi architettonica prevedesse senza soluzione di continuità solidi muri in pietra, travi, soffitti e pavimenti in legno e tetti rivestiti di ardesia locale (lose).
Niente di casuale in queste scelte: materiali locali facili da reperire e tanta abilità costruttiva. Le abitazioni erano spesso di grandi dimensioni per ospitare tutta la famiglia, spesso allargata per far fronte comune alle difficoltà quotidiane, ma soprattutto per conservare con cura le scorte alimentari che garantivano la sopravvivenza di uomini e animali da una stagione all’altra. Case con uno sviluppo più verticale che orizzontale per non sprecare spazio e dedicarlo a orti e prati da foraggio e addossate le une alle altre per creare nuclei compatti i cui tetti si sfiorano a creare passaggi coperti molto pratici soprattutto in inverno.

Museo a cielo aperto La Thuile il lato Wild del Monte Bianco

All’esterno un mosaico di orti ordinati e colorati e ponton, passaggi diretti che dall’esterno permettevano di portare, a spalle o a dorso di mulo, il fieno nella parte alta della casa aerata e ampia direttamente sotto il tetto.
In ogni villaggio una o più fontane riparte da tetti e dotate di ampie vasche permetteva l’approvvigionamento dell’acqua e rappresentava un importante luogo di socialità e incontro dove le donne si tenevano aggiornate sulle notizie del paese chiacchierando mentre lavano i panni.
Il villaggio viveva della sua comunità, sempre partecipe e pronta a condividere difficoltà e momenti gioiosi come la cottura del pane nero nei forni del villaggio, celebrazioni o ricorrenze nelle piccole ma vivissime cappelle. Vistando le frazioni che compongono La Thuile, si aprono ad ogni passo piccoli scorci dove l’occhio non può non soffermarsi sui dettagli che raccontano di un mondo a parte: il cuore del villaggio di montagna.

La chiesa e il suo crocifisso prodigioso
Percorrendo la via Debernard (dal nome casato nobiliare Debernard) si giunge alla chiesa parrocchiale.
La prima testimonianza documentata dell’esistenza di una comunità parrocchiale a La Thuile risale al XII secolo. Si tratta di una pergamena relativa al prevosto di Saint-Gilles de Verres, datata 1113. Si legge che in quest’anno il vescovo di Aosta, Boso, concesse la parrocchia di La Thuile ai canonici di Sant’Egidio. Nel 1245, il prevosto di Verrès cedette la parrocchia all’Ospizio del Piccolo San Bernardo, che dipendeva da Verrès ma che, dal punto di vista economico, aveva i propri profitti, le cui rendite venivano utilizzate per gestire l’Ospizio. Nel 1466, quando l’Ospizio del Piccolo San Bernardo fu unito a quello del Gran San Bernardo, la parrocchia di La Thuile tornò sotto il diretto controllo del Vescovo di Aosta.
La chiesa odierna ha una pianta a croce latina e absidi semicircolari. Addossato alla parete absidale si trova un tabernacolo ligneo dorato, del XVIII secolo, proveniente dal convento della Visitazione di Aosta.
Sopra l’altare spicca un bellissimo crocifisso ligneo del XV secolo che la comunità di La Thuile venera perché legato a un fatto prodigioso. Nel 1794 il passaggio delle truppe francesi lasciò devastazioni e incendi, anche la chiesa fu saccheggiata e danneggiata. Anche il crocifisso fu attaccato ma non ci fu modo di rimuoverlo dal suo posto sotto la volta. I soldati francesi che cercarono di abbatterlo fallirono o morirono nel tentativo e il crocifisso rimase al suo posto.
Nella volta si legge ancora: “Haec Christi imago caeteris cuntis bello vastatis 1794 mirabilite remansit. Deo gratias” (“Di tutte le cose distrutte nella guerra del 1794, questa immagine di Cristo fu miracolosamente salvata. Grazie a Dio”).
Le pareti interne della chiesa furono decorate dal pittore Ettore Mazzini negli anni 1945-46 su richiesta del parroco Elie Pession e come espiazione di un desiderio espresso dalla popolazione di La Thuile di ottenere la protezione divina durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il campanile è costituito da una torre quadrata in pietra intonacata, decorata con archi agli ultimi due piani. Risale probabilmente al XIV o XV secolo. La guglia è del XVIII secolo.
La chiesa e la parrocchia sono intitolate a San Nicola che fu vescovo di Myra (in Turchia) nel IV secolo. Il santo è dipinto su un affresco situato nell’abside laterale sinistra e le sue reliquie furono trasferite a Bari il 9 maggio 1087. E’ proprio il 9 maggio che si celebra la festa patronale.
La festa patronale culmina nella Badoche, celebrazione di origine propiziatoria che viene fatta risalire ai Celti. Protagonisti sono i giovani del paese (scapoli) che in abiti tradizionali passano di casa in casa accompagnati dal suono delle fisarmoniche a annunciare il ballo in piazza e raccogliere offerte. Il piccolo corteo conduce un coloratissimo bastone ornato di fiori e nastri di seta
La piazza che ospita la festa si anima dopo la messa: il corteo della Badoche e i suonatori fanno il loro ingresso e si aprono le danze coinvolgendo a mano a mano tutti i presenti, secondo una consuetudine tramandata dalla tradizione orale. Si balla fino a sera accompagnando la festa con vino e pietanze saporite.

I nomi delle frazioni sono tutto un programma!
Il patois, lingua francoprovenzale che si parla in famiglia con tante piccole differenze dialettali da paese a paese ci insegna che i nomi delle frazioni si ispirano a specifiche situazioni topografiche o geografiche.
Vistando le varie frazioni scoprirai il perché dei loro nomi: allora il Faubourg unisce foris (fuori) e burgus (borgo) indicando che stava fuori dal borgo principale, Les Granges circondata da prati sulla strada che porta a Col San Carlo richiama i granai perché era zona di coltivazione di segale e frumento. E ancora il Préillon, accanto a Les Granges indica che lì si trovavano dei “petits Prés” ossia dei piccoli appezzamenti di terra, che al Thovex c’era una cava di tufo (tofus), il Buic si trovava ai piedi del bosco (bouque) e il Clou dal latino clusum racconta di un luogo un tempo recintato.
Ma non basta: Moulin indica che un tempo erano attivi mulini alimentati dalle acque del Grand Ru, Bathieu che i lavatoi della frazione erano usati per battere i drappi più duri e resistenti, Golette (Grande e Petite ) che le case si trovavano in corrispondenza di una gola vicino alla Dora del Verney, Villaret (dal latino “Villaretum” o “Villarium”) lascia intendere che abitazioni e stalle fossero state costruire vicino alla Comba, il piccolo vallone di La Joux.
Spostandosi verso le cascate e poi verso il Colle del Piccolo San Bernardo si trovano infine Promise che deriva da “Promizor” (mezzogiorno in patois) e significa proprio prato rivolto a mezzogiorno e Pont Serrand, Ponte che chiude poiché era l’ultimo villaggio abitato su una gola stretta che portava al valico alpino.

Luoghi di culto e devozione, fulcro della vita del villaggio
Nei villaggi che compongono La Thuile si trovano tante cappelle costruite nei secoli XVII, XVIII e XIX, che si integrano armonicamente con il paesaggio circostante e testimoniano una fede profonda, linguaggio che unisce e conforta.
Piccole per dimensioni ma curate nell’arredo e nei decori murali e scultorei le cappelle sono dedicate a vari santi e sante: a Entrèves la cappella di Sainte Barbe fu fondata nel 1653 e ricostruita nel 1793 protegge minatori e pompieri attribuendole il merito di aver evitato al villaggio il rovinoso incendio del 1794, al Moulin la cappella di Sainte Anne risalente al 1667 ha un piccolo campanile che batte ancora le ore. Al Cloux la cappella datata 1650 dedicata a Saint Laurent fu incendiata insieme a tutto il villaggio nel 1794 dai soldati francesi e poi ricostruita.
Al Thovex la cappella di Santa Lucia, prima San Defendente aveva il compito di proteggere il villaggio dalle valanghe e conteneva la pompa per spegnere gli incendi. La Cappella di San Rocco in via Debernard dal 1630 protegge dalle malattie dopo che la peste portata dai soldati tedeschi fece molte vittime.
Anche in alta montagna troviamo cappelle come quella al colle del Piccolo San Bernardo a 2158 metri di altitudine in cui nel 1909 fu sepolto l’abate Pierre Chanoux, fondatore del giardino botanico chiamato in suo onore “Chanousia”. Ancor più in quota, a circa 2500 metri, di fronte al ghiacciaio del Rutor si trova la cappella dedicata a San Grato e Santa Margherita invocata contro la forza di valanghe e slavine, meta di un sentito pellegrinaggio.

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