
La Thuile
un concentrato di storia lungo 5000 anni
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Può un valico fra le vette alpine segnare le origini di un luogo e dettare le tappe della sua storia?
La Thuile occupa una posizione ritenuta da secoli strategica lungo la Via delle Gallie che i romani consideravano uno dei punti di passaggio più importanti dell’Impero: l’Alpis Graia oggi Colle del Piccolo San Bernardo.
Da molto prima dei romani la zona era territorio di Salassi e Ceutroni che già controllavano il passaggio del colle, accessibile tutto l’anno. Divenne necessario accogliere pellegrini e viaggiatori: i romani prima con una grande Mansio e San Bernardo da Mentone poi, con un ospizio.
Entrambi sono ancora oggi simbolo di ospitalità in alta montagna ma mentre ormai della Mansio restano solo le fondamenta l’ospizio è ancora in attività e caratterizza in modo unico il panorama del Colle.

In 5000 anni La Thuile e il suo valico sono stati punto di unione fra popoli ma anche teatro di scontri quando nella Seconda Guerra mondiale truppe e fortificazioni si posero a difesa dei confini dall’avanzata francese.
L’eco dei celti, dei romani, delle guerre ha reso La Thuile un villaggio di montagna con un bagaglio storico e culturale ampio e notevole che arricchisce il suo essere villaggio di montagna sviluppato con saggezza fra prati, torrenti e versanti boscosi con le case distribuite in nuclei compatti in cui si riconoscono ancora oggi le varie frazioni. Ognuna con la sua cappella o oratorio, la scuola e fabbricati d’uso comune come la fontana, a creare un piccolo mondo che sapeva affrontare le insidie del clima e della montagna.
Esplora la Thuile nei suoi angoli più caratteristici, cerca le chiesette che, una diversa dell’altra, si nascondono nelle frazioni e vivi l’avventura salendo al Colle del Piccolo San Bernardo. Già dai primi tornanti avrai una visuale aerea di La Thuile che ti invita alla scoperta.
L’Alpis Graia, varco fra le Alpi
Nelle montagne considerate da sempre barriera che separa popoli e culture la presenza di un valico percorribile è un punto di contatto fra genti diverse e di passaggio dal valore incalcolabile.
Ritrovamenti risalenti al Neolitico (4500-2200 a.C.) ci raccontano come la zona fosse abitata in modo più o meno stabile in base alle quote grazie a una fase climatica favorevole che permetteva di coltivare i campi e allevare il bestiame fino alle quote più elevate.
Da questo periodo si attestano i primi percorsi di attraversamento del colle. Le popolazioni preromane di origine celtica furono le prime ad esercitare il controllo della viabilità per il Piccolo San Bernardo. Per millenni dal valico del Piccolo San Bernardo sono transitati liberamente viaggiatori, pastori transumanti, pellegrini, mercanti, contrabbandieri, someggiatori, migranti.
In due occasioni abbiamo certezza documentata del transito al colle: il viaggio verso l’Italia di San Martino di Tours nel 356 e la traslazione delle spoglie del vescovo di Auxerre San Germano morto poco prima della metà del V secolo a Ravenna.L’assistenza a questa moltitudine di persone divenne essenziale già in epoca romana e fu poi portata alla sua forma più alta dalla costruzione dell’ospizio ad opera di San Bernardo.
Si inizia a parlare di frontiera dal punto di vista fisico e militare solo in età moderna, in conseguenza delle necessità difensive a partire dalla prima metà del XVII secolo quando il Ducato di Aosta inizia a edificare un sistema difensivo a occidente per controllare le vie che dalla Savoia portavano in Valle d’Aosta.
Nel 1563 la capitale del Ducato viene spostata da Chambéry a Torino e la grande route di origine romana che passa per il colle del Piccolo San Bernardo agevola lo spostamento di truppe determinando l’inizio di una mobilitazione militare, con costruzione di un complesso sistema difensivo che sarà ripreso più volte fino al secondo conflitto mondale.
Alla ricerca delle origini celtiche
Gli antichi abitanti della Valle d’Aosta erano i Salassi, popolazione gallo-celtica discendente probabilmente dagli Allobrogi, che abitavano il Canavese e la valle della Dora Baltea. (II secolo a.C.)
Ben presto dovettero difendersi dalle mire espansionistiche dei Romani, interessati ad assumere il controllo di un territorio così strategico.
I Salassi, pur essendo definiti barbari dai romani, erano decisamente ben organizzati: i loro villaggi (Oppida o Oppidum al singolare) erano protetti da palizzate e fossati, le case erano in legno calde e confortevoli e le strade erano lastricate. La comunità era organizzata in clan guidati ciascuno da un re, eletto tra i nobili guerrieri più valorosi e sempre in contatto con gli altri capi-villaggio per discutere e prendere le decisioni importanti.
La religione era basata sulla natura: i boschi e i luoghi vicino all’acqua erano siti spirituali e veneravano le piante; a ognuna erano attribuiti significati e virtù specifiche. Praticavano sacrifici umani e di animali in onore degli dèi con riti e cerimonie che denotavano estremo rispetto per le anime sacrificate che erano ritenute immortali.
La cultura era tramandata oralmente dai druidi, saggi sacerdoti il cui sapere spaziava in ogni disciplina, dalla matematica all’astronomia, dalla medicina alla divinazione, dalla teologia alle scienze naturali.
Anche le donne erano parte attiva della vita sociale e potevano diventare capi, guerriere o sacerdotesse.
Gesta eroiche, tradizioni e leggende venivano raccontate dai bardi che suonando l’arpa creavano una sorta di ponte fra l’umano e il divino, e per questo erano molto vicini ai sacerdoti.
Per conquistare le loro terre i romani dovettero faticare non poco. Nel 143 a.c. i Salassi furono sconfitti dalle legioni del console Appio Claudio Pulcro, ma non si arresero del tutto alla dominazione romana fino al 25 a.c. quando dovettero cedere alle truppe del luogotenente di Augusto. Una volta occupati i territori salassi i romani fecero loro molte delle loro invenzioni e i piegarono anni da mettere da parte i loro idoli tanto che i templi pagani resistettero per molti anni a venire.
Il sacro cerchio di pietre
Il latino Petronio descrive in modo poetico il luogo sacro dove si venerava la divinità Graius, descrivendo gli altari di Ercole come 46 pietre dalla forma allungata (menhir), infisse verticalmente nel terreno, parzialmente coperte da terra e detriti accumulati nei secoli, disposte in un cerchio del diametro di 72 metri chiamato cromlech, dalla lingua dei Celti, per i quali Croum significava “curva” e lech “pietra sacra”.
Secondo Petronio tale luogo sacro alza la testa verso gli astri suggerendo che l’allineamento di pietre sia dettato da una attenta osservazione del moto di stelle e pianeti e costituisca una specie di Osservatorio astronomico, utilizzato per la determinazione delle stagioni, essenziale per le attività agricole.
Giulio Cesare nel De Bello Gallico descrive i druidi celtici, i sacerdoti depositari del sapere come attenti studiosi del cielo. Non è impossibile che utilizzassero una struttura preesistente continuando le tradizioni di una cultura astronomica arcaica utilizzando un cerchio di pietre ritenuto magico con posizioni precise per traguardare le stelle.
La posizione topografica del monumento, nel punto di colmo del passo, è sicuramente in relazione con la sua funzione e persino la via romana che attraversava il colle affianca il cromlech senza tagliarlo, apparentemente per rispettarne il significato che doveva essere ancora vivo in epoca romana presso le popolazioni dei due versanti.
La conquista romana
Augusta Praetoria Salassorum (oggi Aosta) era la colonia voluta da Augusto nel 25 a.c. a guardia dei nodi viari entro le valli alpine. La Valle d’Aosta, con i passi del Piccolo e del Gran San Bernardo, dominava i percorsi verso i paesi d’oltralpe e si trovava in territorio dei Salassi, popolazione originaria del luogo che non si rivelò docile da conquistare.
La via consolare delle Gallie nel tratto che da Eporedia (oggi Ivrea, in Piemonte) alla Colonia Copia Felix Munatia Lugdunum (l’attuale Lione) saliva fino agli oltre 2.100 metri del Colle del Piccolo San Bernardo permettendo a eserciti, viaggiatori, mercanti e pellegrini di valicare le Alpi in direzione della Gallia.
La via era lastricata e riprendeva la traccia di una vecchia via carovaniera già utilizzata dai Salassi. Il tracciato era rettilineo con pendenza regolare e senza curve o tornanti per facilitare l’avanzare dei carri carichi di merci di ogni tipo.
Era una via trafficatissima che si percorreva a tappe. Vennero così costruite delle Mansio, luoghi di accoglienza dove i viaggiatori potevano sostare. La mansio al Colle del Piccolo san Bernardo era la più alta in quota e le sue grandi dimensioni testimoniano la sua frequentazione continuativa e massiccia durante tutto l’anno grazie a un clima che permetteva il passaggio anche in inverno oltre alla coltivazione del grano e all’allevamento.
Oggi rimane solo il perimetro di fondazione, ma permette di comprendere come fosse composta da vasti ambienti comuni come i cortili, le scuderie e il tempio. Le celle, usate come alloggi per mercanti e passeggeri in transito con cavalli e bestie da soma erano 12, distribuite lungo i lati del cortile centrale.
Due erano gli ingressi: uno a Sud-Est che corrispondeva al retro della costruzione e uno a Nord-Ovest che dava sulla Via delle Gallie, separato da un’altra costruzione oltre la strada che fungeva da magazzino.
Il tetto era inizialmente di paglia, poi sostituita da lastre di ardesia, ricavate da una cava presente nelle vicinanze.
San Bernardo e Pierre Chanoux, figure centrali per il Colle
Nel 1034 San Bernardo da Mentone entra a fra parte dei Canonici della Cattedrale di Aosta e viene incaricato di costruire due nuovi ospizi per i viandanti: il primo lungo la via chiamata Mont Joux (Colle del Gran San Bernardo) e il secondo a servizio della via chiamata Colonne Joux (Colle del Piccolo San Bernardo).
Qui fu da subito impegnato a distruggere i molti luoghi e simboli pagani come templi votivi, luoghi di adorazione, una colonna sormontata dalla statua del dio Giove che si invocava per assicurarsi la protezione nella lunga e faticosa traversata.
La sua missione in favore dei pellegrini lo vide impegnato fino alla morte per creare un rifugio sotto la protezione divina fino alla nascita del primo Ospizio nell’XI secolo. Un gran numero di viandanti, infatti, raggiungeva l’ospizio sia in estate che in inverno. Nel 1923 furono registrati ben 7452 passaggi.
Uno dei più celebri rettori fu l’abate Pierre Chanoux che per 50 anni (1859-1909) perpetuò l’opera di San Bernardo. Costruì una garitta denominata “Il Monumento ai 4 venti” che gli permetteva di meditare al riparo, qualsiasi fosse il senso del vento. Nel 1902, sulla frontiera dell’epoca, fece erigere una statua in onore di San Bernardo con un dragone incatenato ai suoi piedi, simbolo del paganesimo allontanato dal santo.
Dal 1752 l’ospizio appartiene all’ordine di San Maurizio e San Lazzaro. Fu bombardato e distrutto nel 1944 e poi ricostruito continuando anche se solo in estate, a mantenere viva la tradizione dell’ospitalità.
Alla figura di Pierre Chanoux si deve anche la nascita del giardino botanico alpino Chanousia, il cui nome ricorda il suo fondatore.
Situato circa 800 metri al di là del confine italo-francese si estende su una superficie di circa 10.000 m radunando circa 1200 specie di rarissime piante alpine frutto delle tante passioni che occupavano l’abate nel suo tempo libero, l’alpinismo, l’archeologia e le scienze naturali.
All’ospizio raccolse una vera e propria biblioteca di volumi riguardanti la materia, collaborò con importanti geologi, installò una torretta metereologica in cima all’ostello in modo da effettuare rilevazioni precise riguardo le stagioni e il clima.
Il 29 luglio 1897 inaugurò il giardino botanico sostenendo in prima persona le spese necessarie.
Alla sua morte chiese di essere sepolto al colle. Il feretro fu portato a valle a braccia fra due ali di folla radunata per l’ultimo saluto. Riposa per sua precisa volontà nella cappella accanto al giardino che tanto ha desiderato e amato.
Venti di guerra al Colle
Al colle si notano svariate strutture difensive di origine militare, fra bunker, postazioni di vedetta e di tiro, muri di contenimento e strutture anticarro usate durante la Seconda Guerra Mondiale ma risalenti a un’epoca antecedente.
Come tutte le difese e gli sbarramenti costruiti per fermare l’avanzata francese durante la Seconda Guerra Mondiale, facevano parte del grande progetto di difesa che attraversava tutto l’arco alpino soffermandosi in particolare al Colle in quanto ritenuto punto di passaggio delle truppe più agevole oltre che ideale dal punto di vista geografico e strategico.
All’inizio le fortificazioni si limitavano a poche strutture realizzate in caverne naturali, ma nella seconda metà degli anni ‘30 iniziò la costruzione di nuove fortificazioni e l’adeguamento di quelle già realizzate in precedenza.
Vennero installate le strutture difensive controcarro su entrambi i lati della strada, in corrispondenza dello spartiacque naturale del Colle e successivamente numerosi bivacchi, osservatori di artiglieria, bunker e i fortini di Chaz Duraz e del Monte Belvedere.
Quando il Maresciallo Graziani divenne il nuovo Capo di Stato Maggiore dell’Esercito italiano iniziò i lavori di questo bunker, negli anni 1933-1934, poi furono abbandonati e ripresi nel 1936. Con le pressioni politiche che portarono allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale fu di nuovo riedificato tra il 1941 e il ‘42, senza mai venire ultimato.
Quando i venti di guerra iniziarono a soffiare con forza, nell’estate del 1939, un contingente di soldati fu inviato a presidiare e difendere i confini prendendo posto nella Ridotta della Traversette che dominava la piana del colle dove si trovavano i bunker e da cui si aveva una visuale ampia sul versante nemico.
Dei bunker si notano ancora gli accessi e le calotte in ghisa di tiro e osservazione. Furono utilizzati solo durante il periodo più acceso del conflitto e non come presidio territoriale. Di piccole dimensione erano studiati per alloggiare 2 soldati armate di mitraglietta con una visuale di sparo in quattro direzioni differenti, ma spesso erano sovraffollati. Un collegamento radio li metteva in comunicazione con il forte della Traversette e con il punto di ritirata sul lago Verney.
Nel 1945 l’avamposto alla Traversette fu in grado di respingere l’avanzata francese grazie soprattutto alla neve era caduta in abbondanza durante la notte, ma con la primavera il nemico rafforzò la pressione sui confini mettendo in difficoltà il contingente. L’arrivo degli alleati americani portò forze nuove che si sommarono alle linee nemiche, complicando la situazione dei soldati italiani al colle: restarono bloccati al bunker senza possibilità di ritirata per settimane, forse mesi: molti morirono di stenti e i superstiti furono catturati.
Lo scavo archeologico di Orgères
Dal 2014 a Orgères sopra Pont Serrand a 1.655 metri di altitudine, nella strettoia dove confluisce il vallone d’Orgères con quello di Chavannes, sul percorso alternativo che porta al Piccolo S. Bernardo, l’Università di Torino conduce campagne di scavo archeologico presso un insediamento che reca testimonianze di almeno 4 fasi storiche, coinvolgendo studenti del Corso di laurea triennale in beni culturali con indirizzo archeologico.
l Progetto Orgères ha un duplice obiettivo: didattico e di divulgazione. Da una parte, infatti vi sono i giovani archeologi che devono sperimentare cosa significhi la gestione di uno scavo e dall’altro vi è la comunità alla quale spiegare i contenuti di un lavoro complesso come quello dell’archeologo.
Nel sito di Orgères gli scavi stanno portando alla portato alla luce un insediamento risalente al I secolo dopo Cristo e abitato – non si sa se in modo continuativo o meno – fino al 1777, anno a cui risale la moneta del Ducato di Milano rinvenuta dagli archeologi.
La grande sfida interpretativa del sito è data dal continuo riuso che è stato fatto nelle varie epoche di alcune strutture. I ritrovamenti effettuati, fra cui una unta di freccia, ceramiche, ossi di animali e una fusaiola (piccolo disco utilizzato per la filatura della lana) fanno pensare vi fosse una stalla per l’allevamento di ovicaprini.
Col progredire degli scavi si ipotizza il ritrovamento di quella che potrebbe essere una linea di difesa del 17esimo secolo, lunga una trentina di metri poggiata su basi che invece avrebbero origini più profonde.
La Thuile, un nome che parla
Non ci sono documenti che ci permettano di stabilire quando La Thuile iniziò ad essere abitata stabilmente. Fin dai tempi più remoti è stata frequentata come luogo di passaggio e di collegamento culturale e commerciale tra le popolazioni dei due versanti delle Alpi.
Da quando i romani tracciarono la strada consolare delle Gallie che percorreva l’intero territorio valdostano
In direzione Ovest verso il valico noto all’epoca come l’Alpis Graia (dal dio celtico Graio) il paese di La Thuile inizia a svilupparsi con un ruolo preciso, dare assistenza ai viaggiatori nell’attraversamento del colle e recuperare e dare sepoltura a coloro che perivano nell’impresa durante la stagione invernale.
E’ col nome Ariolica che compare per la prima volta nella Tabula Peutingeriana, mappa del XII secolo e copia di un’opera precedente del IV secolo.
Si trasforma in Thuilia dopo la caduta dell’Impero Romano e la sua annessione al regno dei Franchi (575).
Il nome attuale risale al 1760 e deriva dal latino tegula (tegola) richiamando le lose, lastre di pietra utilizzate per coprire i tetti delle case estratte nella zona fra Pont Serrand e il Mont du Parc.
Durante il periodo fascista La Thuile diventa per fortuna temporaneamente Porta Littoria.
La gente del posto la chiama La Tchoueuille utilizzando il patois, lingua francoprovenzale valdostana.